La guerra distrugge tutto, anche l’ambiente. Dall’Ucraina al Sudan, il costo “naturale” dei conflitti

Da sempre, i conflitti armati e le guerre producono distruzione e dolore, specialmente nelle popolazioni coinvolte. Ma uno degli aspetti meno considerati riguarda, molto spesso, le conseguenze negative del passaggio del fronte sull’ambiente, vittima silenziosa della brutalità dell’uomo. Animali, specie vegetali, interi ecosistemi che, sotto il fuoco delle armi, vengono uccisi o distrutti per sempre. Dal 2001, nel tentativo di aumentare la consapevolezza sul tema, le Nazioni Unite hanno dedicato la giornata del 6 novembre alla sensibilizzazione per lo sfruttamento dell’ambiente in scenari di guerra.
Ma le conseguenze dannose per l’ambiente non si limitano solo agli scenari di battaglia durante i conflitti armati. Secondo l’ufficio italiano dell’Onu, infatti, oltre il 40% delle guerre degli ultimi 60 anni era legato allo sfruttamento delle risorse naturali. Non solo distruzione quindi, ma anche vere e proprie guerre di conquista per ottenere il controllo di risorse naturali come giacimenti petroliferi o gassosi.
L’obiettivo della Giornata Internazionale per prevenire lo sfruttamento dell’ambiente in guerra e nei conflitti armati, dunque, è quello di portare l’attenzione su aspetti degli scontri a fuoco che vengono spesso ignorati: “Dobbiamo agire con coraggio e urgenza per ridurre i rischi che il degrado ambientale e il cambiamento climatico comportano per i conflitti, e impegnarci a proteggere il nostro pianeta dagli effetti debilitanti della guerra”, ha dichiarato António Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite.
Biodiversità in fiamme: Ucraina e Vietnam
Un primo esempio di quanto la biodiversità è messa a rischio dalle guerre è rappresentato dalle foreste ucraine. Secondo un’analisi pubblicata su Global Ecology and Conservation e condotta dall’Università di Bologna, solo nel biennio 2022-2023 sono 808 i chilometri quadrati di foreste andati perduti a causa delle conseguenze dei combattimenti. La maggior parte dei quali, sottolineano gli esperti, a causa del fuoco, con le truppe di occupazione russe che si sono spesso opposte agli interventi di spegnimento. Nella sola regione di Mykolaiv, particolarmente famosa per la sua biodiversità, il 30% circa delle foreste è andato in fumo.
Inoltre, le scene che arrivano dall’Ucraina, ormai familiari nei notiziari, richiamano alla mente un altro dramma ambientale consumatosi nel corso di una terribile guerra. Negli anni del Vietnam, infatti, agente arancio e napalm furono solo due dei mezzi utilizzati dall’esercito degli Stati Uniti per privare i vietcong del loro principale nascondiglio, le foreste. Ancora oggi, gli ecosistemi in cui questi agenti chimici sono stati sganciati sono estremamente compromessi, con conseguenze gravi non solo sulla popolazione coinvolta, ma anche sulla vegetazione.
Guerre con l’acqua e per l’acquaSempre in Ucraina, nel 2023, le truppe russe hanno utilizzato l’acqua come ulteriore mezzo per combattere la propria guerra di invasione, distruggendo la diga di Nova Kakhovka. Il successivo crollo della diga ha determinato un enorme innalzamento dei livelli dell’acqua che, nella regione di Kherson, ha raggiunto i 5 metri di altezza sommergendo oltre 30 cittadine e costringendo 42mila persone ad abbandonare le proprie case.
E se, nelle pianure a sud di Kiev, le dighe vengono abbattute per fiaccare il morale della popolazione e impedire lo spostamento dei mezzi, India e Pakistan vivono da decenni un contenzioso opposto. Nel corso degli scontri armati dello scorso aprile, infatti, l’India ha rivisto unilateralmente il Trattato delle acque dell’Indo, firmato nel 1960 col beneplacito della Banca Mondiale, riducendo del 90% il flusso di “oro blu” che sorge in India e termina in Pakistan. Un’azione affrontata da Islamabad con razionamenti dell’acqua potabile e limitazioni nella generazione di corrente da fonti idroelettriche fino al termine degli scontri, testimoniando ancora una volta l’importanza del controllo delle sorgenti.
Il controllo dell’ambiente che luccica passa dalle armiAnche in Sudan, l’ambiente gioca un ruolo primario nel comprendere gli scontri che in questi giorni infuriano attorno alla città di Al Fashir. Dietro al dramma umanitario legato all’assedio della capitale del Darfour, infatti, si cela un contenzioso legato ad alcuni dei luoghi più ambiti dell’intero pianeta terra: le miniere d’oro del Sudan. Questi luoghi, da sempre al centro di pesanti ingerenze europee e, più in generale, estere, sono oggi in mano ai ribelli delle RSF, che vi esercitano un potere senza scrupoli e privo di ogni tutela in nome del diritto internazionale.
Anche nella Repubblica Democratica del Congo, situata nell’Africa centrale, gli scontri che si sono verificati a inizio 2025 (e che sono parte di una storia nazionale decisamente turbolenta) sono legati alle risorse naturali che il paese detiene lungo il confine con il Ruanda. Sono i ribelli del gruppo M23, in questo caso, a detenere il controllo dei giacimenti estrattivi, difesi con la forza contro chiunque tenti di acquisire il controllo su zone così ricche di risorse come, ad esempio, il Coltan.
Un’ulteriore testimonianza, tra le infinite che possono essere individuate nella storia dell’uomo, che testimonia quanto il controllo delle risorse naturali si inserisca a pieno titolo in un quadro che, solitamente, comprende violazioni del diritto internazionale, vagiti imperialisti e profondi contrasti etnici e religiosi. È doveroso che ogni 6 novembre venga ricordato come, tra le vittime silenziose di queste atrocità, l’ambiente sia uno degli elementi che più soffre le conseguenze dei conflitti armati e delle guerre di tutto il mondo.
Luce






